giovedì 20 dicembre 2018

TEMPIO CHE SIETE VOI


  

Meditazione su 1Cor. 3,16-17


"…santo è il tempio di Dio che siete voi…"

Ci sono due parole, in realtà un solo verbo, che colpisce  in questo versetto: "è", "siete";  il verbo "essere" che afferma e conferma e inoltre l'Autorità di Chi attesta il contenuto della frase, fuori da ogni possibile dubbio. Se "credo", allora "so" anche chi "sono" e la notizia non può che rallegrarmi perché consegna alla mia vita un messaggio di Verità, di infinito e di eterno.
Dentro questo "tempo" che "io sono" si realizza perfettamente quel rapporto "io-Tu" che conferisce solidità, scopo, speranza, totale consolazione e letizia alla vita di ogni "credente".
Ma che vuol dire esattamente questo "credere"? Non si tratta di visitare una galleria di opinioni al fine di scegliere la più conveniente, perché tali "vetrine", mentre attraverso le loro innumerevoli seduzioni, non rivelano nulla su me stesso che passo, nulla sul fondamento proprio di me che, fosse per loro, corrisponderebbe solo a un vuoto da riempire. Se così fosse, altro non sarei che il loro contenuto, eternamente "fluido" e cangiante e così "altro" da me stesso da non essere che un nulla. Si tratta invece, come afferma S.Agostino, di "sapere" e di scoprire nella Fede quanto già intimamente percepisco in me stesso "per natura". Scrive infatti il grande Dottore della Chiesa: "L'intelligenza è il frutto della fede. Non cercare dunque di capire per credere, ma credi per capire; perché se non crederete, non capirete" (Omelia 29)
Come la letizia allora non si espande in gioia incontenibile? Lui, il mio Dio, pur essendo "fuori di me" è, per Sua stessa imprescindibile natura, Amore, già in me presente e inevitabile fin dal giorno in cui fui creato e, da quel momento in poi, eternamente. Devo solo preoccuparmi quindi di me stesso, della mia natura, della "qualità" del mio credere e della sua "intensità".
Come tutti, sono “in viaggio” attraverso un mondo che distoglie, che cerca di carpire la mia santa identità, per scolorirne il senso fino a perdizione. Certo ciò non può “oggettivamente” accadere, giacché l'infinito mio Dio "contiene" ogni cosa e dunque "anche" il mondo ma, “soggettivamente”, sarei io a divenire giorno per giorno "estraneo" a me stesso, a smarrirmi, a perdere la "connessione" a causa di un "libero arbitrio" falsamente indirizzato, a consegnarmi volontariamente al dubbio (fatto per me e a causa mia, nuova e dilaniante certezza, come di chi confida solo in un inestricabile e contraddittorio labirinto…), a far sì che "io", pur inevitabilmente "essendo", tuttavia “non sia più” in me stesso, per me stesso.
Viene in mio soccorso la preghiera, Lui che parla nel silenzio e queste righe che medito ogni giorno, l'ascolto e la Parola, quanto giova a svuotarmi dall'Ego che da Lui mi separa, perché in quel vuoto scenda come un fiume la  Sua Grazia e si faccia vita nella mia esperienza quotidiana e nel servizio al prossimo, "tempio" a sua volta del medesimo Dio vivente.  “Lui che mi ha creato senza di me, non potrà salvarmi senza di me” (cfr. S.Agostino, Sermo CLXIX, 13) giacché "vuolsi così colà dove si puote" (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III).


Renato Pernice - 20 dicembre 2018

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