sabato 27 agosto 2011

DONAMI IL SILENZIO CHE SALVA...



Amo i miei fratelli perché so che Lui mi ama. Quando so che Lui mi ama? Quando sto da solo a lungo, in pace, in silenzio davanti a Lui, quando Lui parla al mio cuore e, dimentico di tutto, Lui solo contemplo "faccia a faccia". In questa condizione di preghiera silenziosa diventa naturale amare Dio e i fratelli perché, fatti a Sua immagine, la nostra natura si identifica con la Sua. Sì, in quei momenti sono davvero capace di amare tanto il fratello che vedo quanto il Dio che sfugge alla mia percezione spazio-temporale.
Ma quando scendi dalla montagna, quando, come Zaccheo, devi farti strada in mezzo alla folla che ti impedisce di vedere (Lc 19,3) o mistifica il tuo operato talora cercando perfino di farti Re (Gv 6,15), quando tu stesso e chi ti è vicino si fa folla o ridda, legione di appuntamenti, ritardi, sensazioni e pensieri incontrollabili che vanno da ogni parte come canne al vento?... Allora vorresti ritirarti, fuggire, passare in mezzo a loro (Lc 4, 28-30) perché non è quello il tuo momento, il momento giusto per "essere" giusto: diventa impossibile riconoscere te stesso, ancor meno percepire nell'ostacolo un fratello.
In quei momenti sei travolto da un fiume di parole vane cui rispondi solo per ulteriore vanità e il dialogo che sul monte fu carezza del Padre assume le sembianze di un confronto, somiglia a un incubo seguito da un altro silenzio, quello che tutto corrode e amplifica il disagio. Cosa è successo?...
Tu stesso ti sei fatto "folla", hai smarrito la tua identità e adesso solo Lui può consolarti, che della "folla" ebbe pietà "fino alla morte e alla morte di Croce" (Fil2,8).
Purchè tu ritorni ad "ascoltare" quel lieve sussurro sul monte (1Re 19,12) e ristabilisca un ponte di misericordioso silenzio tra Te e quella folla.
Come ritornare dunque ad amare? Come risentire compassione per quel tumulto?...
Perdonami Signore per tutte quelle volte che non ho saputo usare le parole che tu mi hai dato come dono per i fratelli da custodire e amministrare sapientemente nel mio cuore, per tutte quelle volte che tale dono, usato inopportunamente ho scambiato per mera ipocrisia, perdonami quando con tali doni ho ferito i miei fratelli rivoltando contro di Te la tua stessa Grazia nel tortuoso cammino interiore della mia incoscienza.
Ma aiutami soprattutto a ritrovarmi fuori dal tempo con Te mentre agisco nel tempo come un ospite inopportuno, come un goffo elefante che più spesso manda in frantumi i cristalli.
Perché solo così non avrò fretta, imparerò a sapere ascoltare il tumulto profondo dei cuori e quello del mio stesso cuore avendo soprattutto compassione di me stesso.
Insegnami che accogliere non è dibattere nè giudicare ma solo contemplare nell'altro gli abissi e le altezze del proprio io profondo ove tu riposi consacrato come in un Tabernacolo Santo.
Salvami dunque dalla parola che uccide, donami il silenzio che salva...


Renato Pernice - 27 agosto 2011

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